La Cooperativa Tre Valli

Deciso che si doveva impiantare un settore dell'artigianato all'interno del Centro Studi, si procedette con un censimento delle maestranze presenti a Partinico.

Franco Paparatti, di professione agronomo, compilò un questionario con il quale andai ad interrogare gli artigiani, facilmente individuabili girando per il paese. Falegnami, tornitori, fabbri, un produttore di cesti erano tra i primi intervistati. Altri avevano sentito del nostro progetto e si presentavano spontaneamente a Palazzo Scalia. Cosi Filippo Grillo, un multitalento, mosaicista, ma anche intagliatore di legno, che presto diventò anche un amico, insieme alle sue sorelle che sapevano ricamare e cucire.

Danilo aveva, durante un giro di conferenze, incontrato Rami Alexander, esperto di sviluppo dell'artigianato, e lo aveva pregato di darci una mano. Rami mi suggerì di predisporre un piccolo campionario prima del nostro incontro e su questo abbiamo poi discusso. In pochi incontri mi ha fatto capire quali erano i criteri da seguire per iniziare una produzione di oggetti adatti al mercato del turismo. Ho seguito i suoi consigli, predisposto i disegni ed in poco tempo un gruppetto di artigiani ha realizzato un campionario che questa volta ha incontrato la approvazione di Rami Alexander. I falegnami produssero mestoli e sottobicchieri assemblando diverse essenze di legno, limone, carrubbo, ulivo, il tornitore ciotole e ciotoline in ulivo, un altro "strummule " e trottole, il cestaio coffe cesti e muscaloru, il fabbro delle appliques usando la tecnica dello rabiscu, Filippo ed io, in complicità facevamo dei frottages al museo di palazzo Abatellis, fungendo lui da palo ed io in tutta fretta eseguivo i calchi, che lui riproduceva in legno. Oltre a questo decorava piastrelle con le tessere del mosaico. Applicavamo ornamenti su juta con spago e semenza per realizzare le borse. Nasceva tutta una famiglia di bambole in pezza, piciriddi, Turiddu, Lola, Santuzza, Onofrio il pastore con i gambali di lana di pecora, Don Calò, il mafioso. Anche cuscini a forma di pesci, polipi, soli ed altri soggetti. Il puparo di Partinico contribuiva con piccoli pupi. Mi rifornivo di tessuti e trine a Sant'Agostino, cordami tessuti e bordature dai fratelli Serio a Piazza Rivoluzione e di cuoio in via Paternostro.

Facevo i modelli e in un piccolo laboratorio attrezzato con una macchina da cucire, tavoli sedie e scaffali si riunivano le donne a produrre gli oggetti in tessuto. Decoravamo le coffe con specchietti e fiocchi. Una anziana signora sapeva fare dei giummi variopinti, che vendevamo come portachiavi. Danilo aveva scoperto a Sciacca il ceramista Gaspare Cascio da cui acquistavamo grandi piatti decorati, egli, su nostro disegno, ci realizzava dei pendenti con le effigie delle monete greche e, avendogli noi fornito i calchi, riproduceva copia degli animaletti ritrovati nelle tombe dei bambini  nelle necropoli.

Io mi rifornivo dei tradizionali bummuli e fiaschi prodotti in una creta salina, che allora si facevano anche in miniatura. Per integrare la nostra produzione che all'inizio non era sufficiente, ci fornivamo da De Simone di oggetti che erano molto apprezzati per i soggetti e la vivacità dei colori.

Con il tempo allargammo il gruppo degli artigiani includendo operatori di Alcamo, Castellammare e Salemi, mai si era vista una cooperativa che includeva un così vasto territorio e tanti mestieri.

 

A Palazzo Scalia esponevamo i manufatti per i visitatori del Centro, Danilo portava regali prodotti da noi nei suoi viaggi, ma tutta questa produzione si giustificava soltanto con l'apertura del punto vendita nel villaggio turistico di Città del Mare. 

L'architetto Giuseppe Carta si occupò dell'arredamento, una gradevole cornice che accoglieva gli oggetti da offrire ai turisti.

Anche a Palermo, in Corso Vittorio Emanuele, all'altezza di Piazza Bologni, in un piccolo ambiente annesso ad un pittoresco cortile abbiamo aperto un negozietto, cercando di allargare il nostro raggio d'azione, che però non fu coronato da successo.

I primi artigiani che invitai a partecipare al progetto della futura Cooperativa Tre Valli li trovai nelle loro botteghe nei vicoli di Partinico.

C'era un cestaio, il signor Lunetto, che si mise a fare piccoli cestini, coffe, sapendo ancora intrecciare la palma nana. Con giummi e specchietti applicati erano molto graditi ai turisti. Giummi coloratissimi li produceva una vecchia mia conoscente e sua figlia nubile nella loro casetta in corso Amedeo. Portavo la lana, e ritiravo i giummi variopinti che era un piacere a vederli.
In una stradina laterale del corso principale aveva bottega il signor Di Maria, tornitore, ancora giovane ma colpito da grave infermità. Malgrado zoppicasse e sembrava non potersi reggere in piedi, con maestria torniva pezzi per sedie e tavolini. Da lui imparai moltissimo guardando come lavorava, mi insegnò i nomi degli attrezzi e mi spiegò perché il legno va tornito lungo il suo asse e non di faccia, come mi sembrava più logico.

Un giorno mi fece vedere una sua invenzione: incollava insieme legni di diversa qualità, scuri e chiari, e sotto le sue mani esperte questi blocchi si trasformavano in oggetti che cambiavano colore secondo la profondità dell'incisione.

Questa tecnica mi ispirò nel proporre ad un falegname, il signor Giambrone, di assemblare insieme listelli di diversa sezione, quadrati, triangolari, romboidali, in legni di diverso colore che tagliati trasversalmente davano sottili tavolette a più colori  che smussati e levigati diventavano sottobicchieri molto ricercati dai nostri clienti. 



Passai ore ad osservare come da una tavola sagomata grezza nasceva la fiancata di carretto nella bottega del signor Manfrè. Lo vedevo applicare la prima mano di stucco  sul legno, spolverare la grafite attraverso la matrice di cartone, dopodiché, con mano esperta, colorando, contornando, applicando le sfumature, ritoccando qua e là faceva nascere da quel groviglio di puntini neri la storia di una battaglia di cavalieri. 
Osservare un carretto da vicino, in tutte le sue componenti, mi fece entrare in un universo del tutto nuovo. Imparai che dove sono fissate le ruote, nella scatola che rinchiude il mozzo sono collocate delle sfere, chiamate boccole,che in cammino emettono un suono ritmico che accompagna il canto del carrettiere,
nella stessa maniera vibravano gli  ornamenti in ferro, collocati sia sull'asse, che a lato dei barruni (le aste che rinforzano le parti laterali del carretto ). Osservando da vicino mi  sono resa conto di  quant'erano belli e singolari questi ornamenti, che nel palermitano si chiamano "rabiscu”, arabesco, lavoro eseguito dal maniscalco alla forgia battendo il tondino di ferro in alcuni punti  fino a ridurlo a un disco, proseguendo col curvare il tondino e fare un altro disco. Nel catanese venivano aggiunte anche piccole  teste ritagliate di profilo. Già a quell'epoca i maniscalchi erano pochi, e i pochi non più disposti o non più capaci ad eseguire questo lavoro, arte che con la sparizione dei carretti non venne più richiesta. 
Indagando presso il pittore, seppi che in una traversa di Corso dei Mille a Palermo c'erano botteghe di costruttori di carretti e anche la fornace di un fabbro che tuttora forgiava il rabiscu.

Quando finalmente mi fu possibile andarci, era assente. Un vicino mi disse di venire più tardi, in quel momento si trovava a scuola. La notizia mi sorprese gradevolmente, supponendo che là trasmetteva la sua arte ai ragazzi, ma poi mi dissero che a scuola faceva il bidello....Dalla collaborazione con questo fabbro nascevano appliques per candele, che mettevano in bella mostra la tecnica del rabiscu.
Diversi anni or sono, frequentando una pizzeria sulle pendici di monte San Calogero ad Alcamo, vidi con sorpresa realizzata la mia idea: sui muri erano appesi questi graziosi  e in se leggiadri ornamenti in ferro battuto che reggevano lampadine elettriche e, strana coincidenza, erano là a dialogare con piastrelle indubbiamente originali del laboratorio di Giovanni De Simone, questo mi permetteva di localizzare il periodo della creazione dell'ambiente all'incirca nei tempi dei quali sto raccontando.

Non ho mai saputo per quale vie sommerse si trovava là una realizzazione di un progetto che sembrava fuoriuscito dalla mia testa.

In un’altra bottega invece, della quale mi ricordo l'odore buono del cuoio, si producevano vari finimenti per cavalli, le bardature, complementari ai coloratissimi carretti. Anche là, giummi, specchietti borchie, una festa per l'occhio e diversi oggetti che trovavano spazio nel nostro negozio.

Un grande maestro era Don Sasà Ranieri ad Alcamo, che con il passare del tempo e con la maggiore confidenza, mi introdusse ai  segreti del suo lavoro. Era un tornitore di legno bravissimo e appassionato, molto apprezzato da Danilo.

Molti contadini, conoscendo questa sua passione, si prodigavano a procurargli pezzi di legno delle più svariate essenze.  Lui stesso si dedicava alla ricerca del materiale che lo interessava.

Per primo sbozzava il nuovo tocco di legno, controllandolo torno torno per vedere se non aveva spaccature, se la nervatura era solida e compatta e soltanto dopo avere verificato la bontà del pezzo, vi apponeva la data e lo piazzava in alto su un soppalco sopra i macchinari, da lì lo toglieva solo dopo un anno di lenta essiccatura.

Sotto le sue mani nascevano ciotole finissime, pezzi quasi trasparenti, che facevano apprezzare le venature in controluce. Per Danilo e per me torniva anche trottoline,

inseriva quasi invisibile un chiodo per punta, e le smerigliava con una pasta abrasiva per carrozzieri a renderle lucide. Sviluppava delle tecniche insolite per il suo mestiere, era curioso e sempre pronto a sperimentare nuove forme e aperto a nuove soluzioni per rendere sempre più belli gli oggetti che produceva.



Col tempo a Partinico cominciarono ad interessarsi le donne al nostro progetto,

prima le parenti dei collaboratori del Centro, poi altre a loro vicine, anziane e giovani,

che nel momento più attivo della Cooperativa  poterono lavorare insieme in un piccolo laboratorio sotto la guida di Anna Alasia, che si intendeva di sartoria.

I tessuti comprati a Sant'Agostino, i merletti, i cordoncini e bottoni, si trasformavano in cuscini di varie forme, bambole con i nomi dei personaggi della Cavalleria Rusticana,  Alfio, Turiddu, Santina e Lola, piccolissime chiamate “picciriddi”.

I tessuti robusti utilizzati comunemente dai contadini, assemblati  con corde e perfino decorati con semi di zucca diventavano borse con ornamenti ripresi da vasi greci. 

Sempre di più si allargò  il cerchio degli artigiani che con i loro manufatti arricchirono l'offerta del nostro punto  vendita a Città del Mare. Funzionava il passaparola,

le indicazioni di persone a noi vicine che ci segnalavano bravi artigiani,

ma capitava anche, traversando un paese, di scoprire persone che ancora producevano oggetti adatti al nostro progetto. Danilo collaborò segnalandoci  un ceramista,

 il Signor Gaspare Cascio a Sciacca, che decorava grandi piatti con scene campestri

in uno stile un poco naif, gradevoli nella loro freschezza.

Per  noi  produsse pendenti in terracotta in bassorilievo che riproducevano le  monete greche utilizzando gli stampi in gesso da noi approntati,  fornimmo anche stampi in gesso per la  riproduzioni di animaletti su modello di quelli trovati durante gli scavi nei siti archeologici greci in Sicilia e che, originariamente, probabilmente erano dei giocattoli.

Egli a sua volta ci segnalò un laboratorio di vasai vicino al mare, che tornivano  tradizionali recipienti in una creta quasi bianca che aveva la qualità di tenere fresca l'acqua per molte ore. Fabbricavano anche i cosiddetti " bummuli" in miniatura, pensati per i bambini, che compravamo e vendevamo in gran numero. 
Burgio, un altro centro conosciuto per una tradizione ceramica secolare ci forniva lucerne, lumiere di Sant'Antonio, smaltati in un intenso verde, o giallo miele. Invano cercavo di convincere i ceramisti di astenersi del tappare con vernice lucida e per giunta in un verde dissimile le eventuali lacune di smalto, che si originavano dal modo nel quale accatastavano gli oggetti nel forno. A loro questo dettaglio importava poco,visto che gli oggetti che producevano erano destinati al corrente uso domestico.
A Salemi operava una tessitrice che produceva con maestria stuoie, le "frazzate" , riducendo in brandelli finissimi stracci di tessuti colorati  tessendoli  con sicuro gusto a formare disegni geometrici.

A Castellammare del Golfo scoprii un fabbro esperto nella fabbricazione di campane per le greggi. Non era il solito lattoniere, aveva sviluppato una tecnica che riscaldando il materiale faceva apparire la superficie della lamiera colore del rame e dell’ ottone, con sfumature di viola ed arancio. Alla mia domanda, con quale criterio i pastori sceglievano le campane, mi sorprese con la risposta che le sceglievano secondo il suono che producevano.

Il pastore anche da lontano riconosce il suo gregge e i singoli animali dal suono delle campane. Col tempo, diventando amici, convinsi il Signor Mulé di fare oggetti disegnati da me, appliques per candele, che facevano risaltare le sfumature del metallo grazie al gioco di luce prodotto dalle fiamme.
Esisteva ancora un teatro di pupi a Partinico, Gaspare Canino membro di una  grande famiglia di pupari, produceva pupi in miniatura precisi come quelli che andavano in scena. Questi  fecero  da subito parte degli oggetti ambiti  come souvenir dai turisti che frequentavano il nostro negozio.

Un terreno di "caccia" per me erano anche i mercati di bestiame, perché là si incontravano vari artigiani che producevano oggetti  utili agli allevatori e contadini. Cestineria di grande raffinatezza, ma anche coffe, zimmili, contenitori intrecciati in palma nana, o panieri finissimi in un’erba chiamata "busa" che cresce in ambienti paludosi. Contenitori per la ricotta in lamelle di canna, cesti di canne rinforzate da inserti di salice. I "muscalori" , ventagli per attizzare il fuoco, scope in paglia che decorati con giummi, fiocchi di lana, divenivano originali ed  apprezzati souvenir. Ci trovai ancora le forme in terracotta per la cotognata, oggi  reperibili soltanto nel mercato antiquario.

Mi spinsi fino a Palermo, Giovanni De Simone mi riforniva di piccole ceramiche, vasetti, ciotoline, piattini, bicchieri decorati con i suoi disegni che si rifacevano lontanamente al modo di dipingere di Picasso, in seguito imitati malamente da altri laboratori.
Piaceva a Giovanni De Simone la nostra cooperativa, ci trattava con generosità.

I suoi oggetti mi aiutarono a riempire gli scaffali nel negozio all'inizio non tanto forniti .

Eravamo buoni clienti, le ceramiche ricercate dai turisti. A piazza Leoni lavorava tutta la famiglia, la moglie, le figlie ancora piccole che producevano la "loro" ceramica, imparavano giocando. Andare in laboratorio De Simone per me era gioia e svago.

Portai in regalo grandi mazzi di fiori raccolti nei prati di Partinico, Giovanni ricambiò spesso con un pezzo creato da lui, e Margherita, generosa come il padre volle darmi una piastrella da lei decorata, che ancora tengo sulla mia libreria.
Danilo mi mise in contatto con due altri amici del Centro Studi ed Iniziative, Giacomo Baragli e Enzo Sellerio. Baragli avrebbe disegnato oggetti, con Sellerio invece abbiamo scelto delle sue fotografie in bianco e nero destinati a diventare poster da vendere in negozio. Seguì una lunga collaborazione con Enzo e una  per me preziosa amicizia con Elvira.